Parchi del Ducato
Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità Emilia Occidentale
Parco dei Cento Laghi
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Geomorfologia

Gli antichi ghiacciai dell'Appennino parmense

Nelle montagne appenniniche hanno lasciato notevoli tracce i processi di modellamento avvenuti durante le glaciazioni che si sono avvicendate nel Pleistocene (800.000-10.000 anni fa), quando estese porzioni dell'emisfero settentrionale vennero rivestite dai ghiacci.
Delle quattro glaciazioni che interessarono la catena, le ultime due, denominate Riss e Würm dalle vallate alpine che ne conservano le forme piú significative, hanno lasciato memoria nelle montagne parmensi.
Del Riss, che ebbe luogo intorno a 200.000 anni fa, il Parco  custodisce la sola testimonianza certa dell'Appennino settentrionale: la coltre di depositi morenici, i sedimenti eterogenei e disorganizzati trasportati dalle masse glaciali e poi abbandonati al loro ritiro, che ricopre il piano sommitale del Monte Navert verso Pian del Freddo e sino a Groppo Fosco.

Una straordinaria evidenza in tutto il crinale parmense orientale hanno invece le forme scavate dai ghiacci e i depositi morenici del Würm.
Tutti gli specchi d'acqua che punteggiano queste montagne occupano il fondo di depressioni (circhi glaciali) scavate dai ghiacci nel periodo würmiano, spesso sbarrate dai tipici cordoni morenici.

Il più imponente era il ghiacciaio che scendeva lungo la valle del Parma, alimentato dalle lingue dei tre rami che oggi ne formano la testata. Nei pressi del crinale il ghiacciaio riceveva il contributo della testata della valle del Cedra, raggiungendo un'ampiezza complessiva di quasi 25 km quadrati (il piú grande apparato glaciale di tutto l'Appennino settentrionale).

Anche il ghiacciaio della valle del Cedra raggiunse uno sviluppo notevole: dalle zone di alimentazione tra i monti Sillara e Malpasso, la lingua principale scendeva spingendosi sino all'altezza di Monchio, dove sono localizzati i depositi morenici piú bassi lasciati dalla glaciazione würmiana.


Il Flysch di Monte Caio

Sulle spettacolari pendici di Monte Navert (1657 m s.l.m.) e sul Monte Caio (1584 m s.l.m.) affiora una formazione rocciosa che prende il nome proprio da quest'ultimo massiccio montuoso: il Flysch di Monte Caio.

Il Flysch è caratterizzato da chiari strati calcarei e calcareo-marnosi, alternati a strati marnoso-argillosi più sottili di colore scuro.

Questo fenomeno è legato a frane sottomarine avvenute tra il Cretaceo superiore e l'Eocene (90-45 milioni di anni fa) su fondali marini profondi, quando era ancora in atto la chiusura dell'Oceano Ligure e ben prima del sollevamento della catena appenninica.

Il Flysch di Monte Caio appartiene a un gruppo di successioni denominate "flysch ad elmintoidi" per la presenza, all'interno degli strati, delle tracce fossili lasciate dall' Helminthoidea labirintica un organismo che si muoveva alla ricerca di cibo sui fangosi fondali marini secondo sistematiche traiettorie ricurve. 


Le arenarie del crinale

Il crinale appennino principale, che nella zona sommatale è tutelato dal Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano, dista poche centinaia di metri dai confini meridionali del Parco Regionale.

Il crinale ha un profilo decisamente asimmetrico, in gran parte dovuto alla diversa giacitura degli strati rocciosi nei due versanti.
Il versante toscano é scosceso e a tratti impressionante per le pareti che paiono come tagliate negli strati arenacei, mentre quello emiliano é decisamente meno acclive e sui pendii che tendono a disporsi lungo le superfici di strato si sono prodotte, e poi conservate, le piú belle morfologie glaciali di tutto l'Appennino settentrionale.
I rilievi del crinale sono interamente modellati nelle arenarie appartenenti alla Formazione del Macigno. L'origine di queste arenarie é legata alla sedimentazione in ambienti marini abissali, avvenuta tra la fine dell'Oligocene e l'inizio del Miocene (30-25 milioni di anni fa), sui profondi fondali della cosiddetta avanfossa, il bacino che si era creato davanti al corrugamento appenninico embrionale, dove il ripetersi di innumerevoli episodi torbiditici (frane sottomarine) portò all'accumulo di circa 1000 m di strati arenacei.


Le ofioliti

Sul margine sud-ovest dell'Area Contigua al Parco Regionale é presente un paesaggio molto singolare, con diruti rilievi come il Monte Sillara e i Groppi Rossi (questi ultimi oggi appartenenti al Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano), che spiccano sulle pendici argillose dell'ondulato crinale tra i torrenti Parma e Baganza.
Il colore scuro dei loro spogli versanti ne tradisce la natura ofiolitica, un termine che deriva dal greco "ofios" (serpente) e fa riferimento alla variegata colorazione verde-nera della roccia, che ricorda la livrea di questi animali e anche ai minerali di cui sono costituite, detti "serpentiniti". Nel quadro della storia evolutiva dell'Appennino sono una testimonianza delle tappe più antiche, quando al posto della catena si estendeva ancora l'Oceano Ligure, i cui fondali, come negli oceani attuali, erano formati da rocce basiche, cioé povere in silice e con abbondanti minerali di ferro e magnesio, che comprendevano porzioni vulcaniche (basalti) e plutoniche (gabbri e peridotiti).
Le ofioliti che affiorano nel parco sono inglobate in un complesso di rocce sedimentarie del Cretacico superiore, che si depositó 95-90 milioni di anni fa su fondali marini profondi.

Il Lago Verde è al centro di un circo glaciale
(foto di Misha Cattabiani)
Il crinale appenninico in alta Val Cedra con (a destra) il versante Toscano e (a sinistra) quello Emiliano
(foto di Cristina Vecchione)
Il Lago Frasconi
(foto di Monica Valenti)
Gli afioramenti di Flysch di Monte Caio
(foto di Alessandro Simonetti)
Il versante parmense del crinale con, in primo piano, il Lago Martini
(foto di Marco Rossi)